Portare “al collo” il proprio bambino è un’usanza antica che alcuni popoli tutt’oggi hanno scelto di preservare, basti pensare alle donne di molte tribù africane o alle mamme del Centro e Sud America. Ma anche nelle società occidentali il baby wearing è una pratica che in molti hanno scelto di recuperare, sia sulla spinta delle proposte sempre più ergonomiche che il mercato offre, sia per la conferma che arriva da studi eminenti: il contatto tra genitore e neonato, infatti, fa bene a entrambi.
Già nel 1986, in un ospedale di Montreal, era stata avviata un’indagine da cui era risultato che il 45% dei bambini piangeva meno se preso in braccio. Ancor prima, negli anni ’70 in Colombia, i bambini prematuri venivano “trattati” con il metodo del “canguro”, il Kangaroo mother care: essendo le cullette termiche insufficienti, i medici provarono con il contatto stretto tra mamme e neonati e, ben presto, valutarono come questa soluzione favorisse una temperatura corporea costante per il piccolo, migliorasse il suo ritmo cardiaco e respiratorio riducendo le apnee, favorisse l’allattamento al seno, determinando una riduzione significativa della infezioni gastrointestinali, e diminuisse fortemente il ricorso ai farmaci e i costi di ospedalizzazione.
Insomma, questa scelta confermò che la relazione di contatto diventa naturalmente un aiuto alla crescita del neonato sotto molteplici punti di vista. Ancora oggi gli esperti invitano le mamme a optare per il baby wearing, soprattutto nelle prime settimane di vita del bambino, quando si torna a casa dall’ospedale. I vantaggi sono bilaterali: il neonato, abbracciato alla mamma, ritrova il suo habitat naturale, percependo il calore, l’odore e i rumori a lui familiari (respiro, battito cardiaco…) e sperimentando così contenimento, protezione e sicurezza. La mamma, dal canto suo, sarà rassicurata dal contatto con il piccolo e avrà modo di sviluppare maggiore empatia, prevenendo anche la depressione post partum: la vicinanza, infatti, stimola l’ossitocina. Inoltre, questa soluzione le permette di passeggiare e muoversi più liberamente non avendo le mani occupate, di fare ginnastica tenendo il bimbo sempre con sé, di trarre vantaggio da una maggiore distribuzione del peso del neonato, in modo che non vengano caricate solo le spalle. A seconda dell’età e dello sviluppo motorio del bambino, esistono diversi tipi di fasce porta-bebè. L’importante è farsi consigliare, anche in base alla propria fisiologia.
I negozi specializzati per l’infanzia mettono a disposizione diverse soluzioni di baby wearing: fascia lunga, fascia elastica, marsupio, zaino, amaca. Inoltre, le mamme più intraprendenti possono provare un’alternativa fai da te: una striscia di stoffa tra i 2,5 e i 5 metri (a seconda della taglia del genitore), larga 70 cm, con i bordi a doppia cucitura. Grazie ai numerosi tutorial presenti online, sarà facile per i genitori imparare a indossarla.
Sperimentare il baby wearing non significa certo abbandonare passeggino o carrozzina: si tratta piuttosto di scegliere il mezzo giusto a seconda delle situazioni, delle proprie abitudini e delle preferenze del neonato.