Vita da baby | 05 novembre 2023, 00:00

«Mamma, vorrei parlare ma… »

Lo sviluppo del linguaggio ha tempi variabili da bambino a bambino e, talvolta, nel genitore può presentarsi un dubbio. In questi casi, l’importante è affidarsi a uno specialista per la valutazione dei progressi comunicativi del piccolo

«Mamma, vorrei parlare ma… »

Il bambino riconosce la voce di mamma e papà già in utero e, alla nascita, è predisposto all’apprendimento linguistico, grazie a sorprendenti risposte neuronali. A poche ore di vita i neonati sono in grado di distinguere il parlato da altri tipi di stimoli uditivi e di percepire le differenze tra i diversi suoni propri di una lingua. Nei primi 3 anni lo sviluppo cognitivo non ha eguali: basti pensare che a un bambino sono sufficienti pochi anni per imparare perfettamente la lingua madre, mentre un adulto può impiegarne molti per apprenderne una nuova, e ciò nonostante mantenere difetti di pronuncia ed errori nell’uso del vocabolario. Da piccolissimi, attraverso lo sguardo e l’udito, i bambini raccolgono e interpretano i suoni esterni che li aiuteranno a identificare modelli di comunicazione personali; verso gli 8 mesi riconosceranno le prime parole dai discorsi dei genitori e di chi li circonda. Verso i 9-12 mesi di età i bambini richiamano l’attenzione verso un preciso oggetto introducendo il gesto di indicazione, detto pointing, ovvero la simultanea estensione del braccio e del dito indice in direzione di una persona, un oggetto o un evento di cui vogliono parlare. Inizia anche la fase imitativa, a partire dalla lallazione, che può cominciare già a 6 mesi e si sviluppa verso i 10-12 mesi. Conosciuta anche con il termine babbling, è una fase in cui il bambino comincia a esprimersi con suoni-parole, assemblando sillabe, una dopo l'altra, come «mammmam-ma-ma» oppure «gna-gna-gna». È un momento importante per lo sviluppo anche perché, proprio da qui, potrebbero sorgere le prime problematiche linguistiche. Le prime parole propriamente dette potrebbero arrivare tra i 10 e i 16 mesi, ma molti studi sostengono che, a quell’età, la capacità di comprensione sia già di gran lunga superiore a quella espressiva. Quindi attenzione a cosa dite in presenza dei bambini, anche molto piccoli! Dai 18 mesi, il vocabolario si infittisce e verso i 30 mesi sono circa 150 le parole conosciute. Un deficit di queste abilità mina la possibilità di interagire con il mondo circostante. È giusto quindi prestare attenzione alle tempistiche, ma senza vivere questa fase con ansia, perché sono tanti i bambini che iniziano a parlare tardi, senza un preciso motivo. Rispetto alle femmine, i maschi hanno più probabilità di manifestare qualche ritardo nello sviluppo linguistico; altri fattori di rischio potrebbero essere (ma non sono pienamente dimostrati) di natura genetica, oltre a un basso livello socio-culturale della famiglia natale. 

La diagnosi viene effettuata a partire dai 4 anni, ma anche prima, in presenza di evidenti difficoltà, è consigliato rivolgersi a uno specialista: prima il neuropsichiatra infantile e il foniatra, poi il logopedista, che si occuperà della valutazione e del trattamento da adottare. Per anni si è parlato di Disturbo Specifico del Linguaggio (DSL), mentre la definizione corrente è Disturbo Primario del Linguaggio (DPL). È possibile che si tratti di DPL se il problema non si risolve spontaneamente nel tempo o se le parole pronunciate a 2/3 anni dal bambino non sono ben decifrabili (dovrebbero esserlo per circa l’80%). Il bambino con DPL ha uno sviluppo fisico, intellettuale e cognitivo nella norma, senza evidenti deficit sensoriali; tuttavia, a diversi livelli, non riesce a esprimersi facilmente. Ad esempio confonde parole dal suono simile («lana» per «rana»«pugna» per «spugna». Il consiglio è di non correggere il bambino quando parla, ma di limitarsi a ripetere correttamente la parola, dopo di lui, senza farglielo notare. Alcuni indizi di questo disturbo possono essere i seguenti: assenza di lallazione a 9 mesi o di gestualità per esprimersi verso i 12 mesi; meno di 50 parole utilizzate a 2 anni o assenza di frasi di senso compiuto a 3 anni. Altre avvisaglie possono essere il disinteresse del bambino per ciò che gli accade intorno o verso gli altri bambini, l’indifferenza quando viene interpellato, la mancanza di scambio verbale con il suo interlocutore e lo sguardo assente quando qualcuno gli parla. I genitori possono supportare lo sviluppo del linguaggio del figlio fin da subito: la melodia della voce ha un potere consolatorio, la risata e un sorriso sono rassicuranti; guardiamolo negli occhi quando gli parliamo e raccontiamogli quello che facciamo mentre lo facciamo. Gli oggetti vanno chiamati con i loro nomi e non con vezzeggiativi: la macchina con cui giocano non è la «brum brum». Scegliamo frasi brevi, perché quando i bambini sono così piccoli la soglia dell’attenzione è bassa e, oltretutto, i nostri discorsi potrebbero non interessarli. Chiarezza, semplicità e partecipazione sono le chiavi, insieme all’amore incondizionato che solo un genitore sa dare al proprio bambino.  

Gloria Cardano

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