Lei lo chiama “l’aiutante magico”, quello che tutti i genitori vorrebbero con l’arrivo di un neonato «venuto su questo pianeta, senza saper fare niente». Fondatrice della filosofia BimbiVeri (www.bimbiveri.it), autrice di 5 libri bestseller tradotti in spagnolo, russo e francese, nonché family coach nel programma TV 4 mamme, Roberta Cavallo si rivolge ai genitori per i genitori, mossa da una missione per i bambini e per le famiglie intere che hanno bisogno di aiuto empatico e pratico. Il suo linguaggio arriva diretto, con quel genere di semplicità e consapevolezza che ci può aiutare a faticare di meno e a divertirci di più. Quando Roberta racconta del “libretto delle istruzioni dei bambini”, la sensazione è di acquisire buon senso senza doversi preoccupare del giudizio altrui. Ogni bambino ha diritto a essere felice e guidato. Nessun genitore dovrebbe essere sfiduciato da ciò che funziona o non funziona, dalla danza dei loro “sì” e dei nostri “no”, e sentirsi frustrato dai propri comportamenti, soprattutto quando perdono il controllo, la pazienza li abbandona e l’unica soluzione utile sembra una “bella” punizione.
Come sono cambiate le punizioni negli anni e come sono cambiati i genitori?
«Un tempo c’erano più punizioni corporali: i sessantenni di oggi ricordano a scuola le bacchettate sulle mani e a casa le sculacciate. Mi stupisco che oggi sia scandaloso il pensiero di picchiare una donna (e aggiungo, per fortuna) e non lo sia uno schiaffo o uno scappellotto a un bambino. Succede tra le mura di casa e in giro senti spesso: “fossi la madre, gli darei due sberle”, come se la linea di ferro fosse sempre quella giusta. Molti genitori, che hanno avuto madri anaffettive e subìto punizioni fisiche, usano le mani a loro volta, altri non sanno dire un “no” ai propri figli; manca il giusto equilibro. Alcuni si vergognano delle punizioni corporali impartite ai figli e mi confidano: “so che non dovrei farlo ma non ho altri strumenti”, “l’ho sculacciato sul pannolino, non gli ho fatto male”».
Perché i bambini puniti ripetutamente perseverano?
«Le punizioni non funzionano perché i bambini non le capiscono e pensano di non valere nulla: “se mamma e papa mi picchiano e urlano, mi spediscono da solo in una stanza, non mi insegnano niente, io allora cosa conto davvero?”».
Quali possono essere in un bambino le conseguenze di una punizione?
«I bambini hanno un modo brillante e fantasioso di interpretare situazioni di insicurezza, che può perdurare fino all’adolescenza, perché non hanno coltivato l’amor proprio nel periodo 0-3 anni».
La differenza tra punizioni e autorevolezza.
«Bisognerebbe trovare una via di mezzo, in armonia con la natura dei bambini che dalle punizioni attivano solo la paura: “mamma (o papà, ndr), inizialmente ti ascolto perché non voglio che pensi male di me, né essere la causa della tua rabbia; mi spaventa vederti trasformare ma non sei una guida: nella quotidianità ti sento insicura, appena succede qualcosa non ti comporti da adulto”. I genitori di oggi delegano troppe scelte ai figli: “mangiamo?”, “andiamo a dormire?”, “cosa facciamo per pranzo?”, “cosa vuoi metterti?”; cambiano idea in base all’umore del bambino, provocando in lui ribellione: “ti sento insicuro, quando ti arrabbi mi punisci, così non ti ascolto”. Si scatena nel piccolo una rabbia dettata da una grande frustrazione in mancanza di una guida. Ancor prima delle punizioni, una di quelle zolle che non andrebbe messa come fertilizzante è la mancanza di polso, la paura di dare delle regole e di dire “no”. Il primo capitolo del libro che ho appena finito di scrivere parla delle regole, abitudini da trasmettere a un bambino appena nato, venuto al mondo senza conoscere niente. Pensiamo di dover impartire solo regole, ma siamo genitori, non formatori: “se non fai quello, ti faccio questo”, “se non mi dai questo, ti punisco con…”. Pensiamo di risolvere i problemi con la rabbia, per far capire il nostro significato di autorevolezza. Faccio sempre l’esempio del tiro alla fune: quanta forza mette chi tira la fune? Tutta quella che ha, senza rabbia né conflitto ma con motivazione, forza e fermezza».
Alcuni genitori preferiscono non prendersi la responsabilità di mantenersi fermi sulle proprie posizioni, come mai?
«Da 20 anni, per aiutare i bambini, provo a fornire strumenti utili ai genitori, che hanno bisogno di camminare e crescere accanto ai propri piccoli. Un figlio ti mette il turbo e sempre alla prova; oggi si delega troppo alla scuola, all’allenatore, ai nonni, perché non ci si reputa all’altezza».
Se le punizioni non servono, quali sono le altre strade per educare i nostri figli?
«Con i bambini bisogna tornare alla semplicità. Riordinare la cameretta a 0-3 anni si può fare: “appena hai finito di giocare, rimettiamo tutto nel cesto”. Siamo convinti che i piccolissimi imparino per sentito dire: “devi imparare a riordinare”, “guarda che all’asilo ti sgridano”, “te lo dico ancora una volta”. Dobbiamo creare con loro una routine. I bambini non capiscono il linguaggio punitivo: “se non riordini, non vedi il cartone”… Chiedo sempre ai genitori: “se volete abituarlo a essere ordinato, cosa c’entra il cartone? Non sono uno la conseguenza dell’altro, quindi perché vi arrabbiate?”. Così si innesca solo una lotta di potere. Cerchiamo un altro sistema, divertiamoci con lui: “ti faccio vedere com’è bella la camera pulita”, così metto energia sull’azione anziché sulla punizione e mi pongo l’obiettivo di insegnargli qualcosa in un determinato lasso di tempo».
Sembra che tutto si determini da 0 a 3 anni; dopo è tardi?
«Durante la gravidanza si delineano i primi 3 anni del bambino e durante i primi 3 anni si influenza la sua vita, ma la responsabilità dei genitori conta sempre. C’è urgenza di usare il buon senso: non dobbiamo pensare più a noi come figli e a quella che è stata la nostra infanzia, ma confermarci genitori. I bambini sono ricettivi, buoni e intelligenti. Ogni mamma e papà meriterebbe di vivere questo viaggio in modo sereno e gratificante; mi dispiace che gli adulti abbiano perso un po’ la bussola, sopraffatti dagli stimoli esterni. Basti pensare a quante cose siamo costretti a fare: la festa di “laurea” a fine materna con i cappellini e gli attestati, i regali alle maestre e alla rappresentante di classe, i compleanni, le chat dei genitori (dove ci sono il dominante, quello che vive il confitto con le autorità, lo svalutato, il perenne insoddisfatto…). Se gettassimo via quest’immondizia, guadagneremmo più tempo per i nostri figli».
Perché ci sono bambini più “capricciosi” di altri?
«I bambini non nascono capricciosi, siamo troppo influenzati dai preconcetti del passato, lo spiego anche nel libro “Smettila di fare i capricci”. Quando piangono, vogliono venire in braccio e urlano, manifestano un disagio: “accogliendoli” con amore, soddisfacendo i loro bisogni e dicendo i “no” con calma e fermezza, impareranno a divenire consapevoli, anche di quello che provano e della loro capacità di esprimersi, già intorno ai 5-6 anni; se non costruiamo questo tipo di relazione e non li abituiamo a esprimere quello che sentono con il nostro esempio, questa maturità tarderà ad arrivare, creando poi difficoltà anche in adolescenza».
Un consiglio incoraggiante per i neogenitori?
«Quando diventi genitore viaggi su due binari: uno è quello di tuo figlio, con la necessità di crescerlo e aiutarlo, l’altro siamo noi con l’urgenza di riempire i nostri vuoti e realizzarci come individui. Dovremmo agire per noi e per loro, che assorbono tutto dall’ambiente circostante. Chi ha un figlio unico sappia che in realtà sono due, perché il secondo è il bambino dentro di sé. Se sorridi e sei in pace gli trasmetti gioia, se sei fermo, che non vuol dire essere arrabbiato, trasmetti decisione, e dai valore ai tuoi insegnamenti».