Vita da baby | 16 giugno 2022, 10:02

Sindrome del bambino scosso

Serve più informazione Dottoressa Fabiana Muni Pedagogista-progettista educativa (disciplinata ai sensi della legge 4/2013 e abilitata ai sensi della legge 205/2017), scrittrice. www.fabianamuni.it

Sindrome del bambino scosso

Scopo del presente contributo è di provare a porre l’attenzione su un fenomeno che, rispetto alla gravità della sua portata, non ha un’equa corrispondenza in termini di conoscenza, formazione e divulgazione; gap che è importante venga ridotto e colmato. Ci riferiamo alla Sindrome del bambino scosso (Shaken Baby Syndrome, in letteratura straniera), espressio-ne coniata dall’American Academy of Pediatrics a seguito della precedente Whiplash Shaken Baby/Infant Syndrome (Sindrome da colpo di frusta del bambino/infante scosso), elaborata dal radiologo pediatrico J. Caffey nel 1972 con il contributo del neurochirurgo britannico A. N. Guthkelch

Con questa definizione la comunità medico-scien-tifica designa, in accordo unanime, una forma di maltrattamento fisico “di grado severo”, consistente in un complesso di lesioni o segni clinici, radiolo-gici e strumentali di entità variabile, determinati da un’azione di violento scuotimento, associato a rapida e ripetuta flessione, estensione e rotazione del capo e del collo di infanti generalmente al di sotto del primo anno di vita. A perpetuare la condotta maltrattante sono massimamente figure di caregiver (genitori naturali o acquisiti e babysitter).

Cosa accade? In seguito a un evento scatenante – in genere determinato dal pianto prolungato e inconsolabile del bambino e dall’incapacità del caregiver di turno di gestirlo – l’infante viene tenuto per gli arti superiori, inferiori e il torace, e sottoposto a scuotimento per un tempo stimato dai cinque ai venti  secondi totali circa. A quel punto, il cervello del bambino - ancora fisiologicamente fragile” – colpisce con forza la parte anteriore e posteriore del cranio; questo colpo (simile a un “colpo di frusta”) causa quindi emorragie subdurali (a carico delle vene intracraniche), emorragie retiniche (a ca-rico dei vasi che portano il sangue alla retina) e altri danni cerebrali, cui possono unirsi fratture ossee (craniche, vertebrali, costali e delle ossa lunghe).

In seguito a questi traumi intervengono disfunzioni permanenti come ritardi di sviluppo e cognitivi, paralisi cerebrali, perdita dell’udito, cecità parziale o totale, difficoltà di linguaggio, difficoltà di apprendimento, difficoltà comportamentali, fino allo stato vegetativo, al coma e purtroppo alla morte. 

Un dramma, quindi, quello che la SBS rappresenta, che potrebbe essere attutito se si pervenisse alla giusta informazione basata sulla rete di collaborazione tra le agenzie comunicative, educative, mediche e legali. 

Dottoressa Fabiana Muni

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